Impatto sull’economia della Turchia dei due devastanti terremoti del 6 febbraio scorso

Dopo la catastrofe naturale più grave degli ultimi decenni, che ha fatto crollare edifici in tutta la regione sud-est del Paese e raso al suolo interi villaggi e quartieri di città, con un altissimo tributo di vite umane, oltre 47.000 secondo le ultimissime stime, a cui si aggiungono feriti e sfollati, la Turchia comincia a fare i conti con le conseguenze economiche del devastante sisma.

Complessivamente le regioni colpite, che contano 13,5 milioni di abitanti, ossia il 15,7% della popolazione totale del Paese, prima del terremoto producevano un PIL pari a circa 1.5 trilioni di lire turche che rappresentava il 9,3% del reddito nazionale e, pur essendo una delle più povere e meno sviluppate del Paese e a prevalente vocazione agricola, stavano sperimentando un significativo sviluppo anche del settore industriale (in particolare la lavorazione tessile ed orafa) ed energetico, a cui si accompagnava una discreta capacità di esportazione.

Pur non essendo stato ancora possibile quantificare con precisione il “conto economico”, si inizia a parlare (timidamente) di ricostruzione. Le stime sono passate rapidamente dai due miliardi inizialmente previsti dall’Agenzia di rating Fitch, ai 25 miliardi calcolati dalla JP Morgan per arrivare agli 84 miliardi di dollari stimati dalla Turkonfed (Turkish Enterprise and Business Association) uno dei primi enti non governativi che si occupano di promozione delle aziende in Turchia ad aver stilato un rapporto dettagliato sulle stime dell’impatto economico del terremoto. A queste elaborazioni si è recentemente aggiunta quella della Banca Mondiale, secondo la quale i costi dei danni fisici diretti (crolli di edifici e infrastrutture) ammonterebbero a 34,2 miliardi di dollari, pari a circa il 4 per cento del prodotto interno lordo del 2021 mentre gli esborsi per la ricostruzione delle provincie colpite dal duplice sisma potrebbero superare complessivamente i 68 miliardi di dollari. Le perdite di PIL associate alle conseguenze economiche del sisma, secondo la Banca Mondiale, si aggiungeranno all’impatto generato dai danni materiali, contribuendo in tal modo ad aumentare il costo complessivo dei danni cagionati. Un fattore che al momento risulta essere molto importante nelle strategie di ricostruzione del tessuto industriale locale, è la rapida creazione di “città container”, poiché consentiranno di limitare gli spostamenti verso altre aree del Paese da parte di coloro che sono rimasti senza casa, preservando la forza lavoro necessaria a far ripartire l’economia. Ad esempio la Turkonfed ha recentemente varato un progetto indipendente per la creazione di una città container. Il Board di Turkonfed ritiene infatti che queste ultime siano, allo stato attuale, uno degli elementi chiave per il rilancio economico della regione.

Oltre agli ingenti danni degli edifici residenziali, commerciali e pubblici, sono stati registrati interruzioni anche nelle infrastrutture energetiche (gasdotti, oleodotti e reti elettriche) come, ad esempio, alcune infrastrutture logistiche (l'autostrada Tarsus-Gaziantep, il porto di İskenderun e l'aeroporto di Hatay) mentre gli oleodotti Kirkuk-Ceyhan e Baku-Tbilisi-Ceyhan, non hanno subito danni. Non sono stati registrati guasti nemmeno alla prima centrale nucleare del Paese di Akkuyu (in via di completamento), a quella termoelettrica Afşin-Elbistan e alle dighe di Berke, Aslantaş, Atatürk, Keban e Karakaya.

Allargando lo sguardo ai macro settori che compongono l’economia della regione meridionale del Paese colpita, anche il volume complessivo del commercio estero della Turchia, fattore trainante della sua crescita economica, subirà con ogni probabilità forti ripercussioni, date le interruzioni dell'attività industriale, dei trasporti e della logistica nell’area devastata dal sisma unitamente alla perdita di manodopera, che produrranno anche minori entrate fiscali nelle casse dello Stato. Le 11 province colpite hanno infatti contribuito nel 2022 a circa il 7,5% del gettito fiscale nazionale che ammontava complessivamente a 122,1 miliardi di dollari di introiti erariali. Sebbene i prezzi dell'energia siano in diminuzione (quelli del gas a gennaio 2023 sono scesi ai livelli di inizio 2022), il disavanzo della bilancia commerciale con l'estero rimarrà presumibilmente ancora elevato poiché la capacità produttiva ed i livelli di esportazione sono destinati a flettere, potenzialmente aggravati dalla già “surriscaldata” spirale inflattiva che avvolge il Paese dal 2021. Appare inoltre molto probabile anche un’ulteriore espansione del deficit corrente per via degli interventi pubblici di sostegno alle popolazioni colpite che potrebbe passare dal 3,5% stimato per il 2023 ad oltre il 5% in rapporto al PIL. Nel frattempo, le ultime rilevazioni sul commercio estero rese note ad inizio marzo da TİM (Türkiye Exporters Assembly) segnano, nel mese di febbraio scorso, una diminuzione dell’export del 6,4% a febbraio rispetto all’analogo mese del 2022, per complessive merci e servizi venduti pari a 18,6 miliardi di dollari.

In questo scenario si attutiscono le stime di crescita che per il 2023 segnavano un aumento medio del 3,2%. Dopo il sisma con ogni probabilità l’economia del Paese ristagnerà o crescerà al di sotto di queste aspettative. Molti analisti ritengono infatti verosimile una riduzione nell’ordine del 2,0-2,5% rispetto alle precedenti stime di crescita, il che significherebbe che il PIL della Turchia nel 2023 potrebbe crescere al massimo dell’1/1,5 per cento. Il 2022 si è chiuso con PIL a +5,6% dopo un anno contraddistinto da una crescita del 3,5% nell’ultimo trimestre del 2022 preceduto 3 trimestri positivi (vedi approfondimento infra notizia n. 8).

Il sisma si “incunea” in un quadro economico per il Paese tutt’altro che roseo: la Turchia dal 2020 subisce gli effetti negativi di tassi di inflazione elevati (85,4% nel novembre del 2022, il picco più alto dal 1998) e di crolli valutari (la lira turca ha perso il 35% del suo valore rispetto al dollaro nel 2022 ed il 55% complessivamente dal 2021). Il “nuovo programma economico”, non ortodosso del Presidente Erdoğan che trova il suo pilastro in una politica monetaria espansiva rivolta a sostenere la crescita attraverso gli investimenti e le esportazioni stimolate da bassi tassi di interesse - pur avendo consentito alla Turchia di crescere anche a ritmi piuttosto sostenuti dei primi sei mesi del 2022 (in media il 7%) - dovrà verosimilmente essere rivista, per la sua insostenibilità nel lungo termine, a maggior ragione in un contesto di inevitabile aumento della spesa pubblica. Nel suo programma economico di medio termine, il Governo prevedeva nel 2023 un PIL di oltre 867 miliardi di dollari, il che significava un prodotto interno lordo pro capite di 10 mila dollari, un obiettivo che ora difficilmente verrà raggiunto considerando anche la prospettiva di un ulteriore indebolimento della lira.

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