La MEI’s Turkish Studies analizza il quadro congiunturale dei prossimi mesi dopo i terremoti dello scorso 6 febbraio

La MEI è un think tank di ricerca indipendente che fa parte del Middle East Institute statunitense. Murat Kubilay, l’autore dell’analisi che si riporta di seguito, è un Financial Advisor esperto di economia turca, editorialista di diversi media locali di taglio finanziario. Svolge il proprio lavoro indipendente a Londra e Washington.
Dopo i buoni risultati della seconda metà del 2022 soprattutto in termini di accelerazione del PIL turco, all’inizio del 2023 il contesto macroeconomico della Turchia doveva continuare il suo percorso di miglioramento dopo due anni difficili caratterizzati da elevati tassi di inflazione e dalla crisi della bilancia dei pagamenti, in deficit a causa delle difficoltà della Banca Centrale Turca di riscattare i debiti in valuta estera e per il maggior costo delle importazioni. Inoltre, il premio del “credit default swap”, pagato ogni anno dalla Turchia per assicurarsi contro il default e garantirsi il rimborso di eurobond quinquennali denominati in dollari, si aggirava intorno al 9% (il livello più alto dalla crisi bancaria del 2001) mentre il rating del debito sovrano per i prestiti esteri era tra i più bassi degli ultimi 20 anni. Tuttavia, il quadro è iniziato lentamente a migliorare grazie a condizioni finanziarie più favorevoli e ad afflussi di cassa informali dall'estero (vedi infra).

Il quadro macroeconomico è mutato profondamente a seguito dei due devastanti sismi del 6 febbraio scorso che, oltre ai terribili danni materiali diretti arrecati al Paese, hanno inciso in modo determinante anche sulle stime della crescita della Turchia con perdite di decine di miliardi di dollari.

Erano stati tre i fattori fondamentali cha avevano contribuito alla stabilizzazione dell'economia turca a partire dal secondo semestre dell’anno scorso. Il primo ha riguardato le restrizioni adottate a fine giugno 2022 dall'Organo di Regolamentazione e Vigilanza Bancaria (BDKK) che avevano consentito di far respirare le deboli riserve valutarie della Turchia ostacolando le operazioni speculative di talune società. Con le nuove disposizioni varate dalla BDKK, era stato infatti deciso che l’acceso al credito in valuta nazionale da parte delle aziende esportatrici - le quali, trovandosi a scadenza i depositi bancari in lire turche ma con rendimento indicizzato al tasso di cambio della stessa lira con valute estere, convertivano i rimborsi in lire in dollari - fosse vincolato alla disponibilità di valuta estera inferiore a circa 900 mila dollari o se le attività finanziare in valuta non oltrepassassero il 10% delle loro fatturato annuale. Ciò ha obbligato molte aziende a vendere le loro disponibilità liquide o a convertirle in conti di deposito protetti in valuta estera. Con i tassi bancari piuttosto vantaggiosi (intorno al 10-15%) molte aziende non hanno esitato a trasferire i propri depositi in valuta estera sui conti protetti. Tale misura - se da una parte ha arginato il ricorso a valute forti attraverso la c.d. “liralizzazione”, legata all’esigenza di assicurare credito agevolato in lire alle imprese più produttive - ha tuttavia solo in parte difeso le riserve valutarie del Paese, che hanno presentato valori positivi solo grazie alla riserva obbligatoria, mentre è stato elevato l’esborso pagato ai possessori di depositi in valuta (circa 5 miliardi di dollari). Inoltre, i depositi protetti in valuta estera sono attraenti per le aziende ma meno per i singoli investitori che sono più esposti a causa dell'alto tasso di inflazione. Peraltro, un basso tasso di crescita del credito e un'attività economica più lenta (laddove le imprese hanno al contrario forte bisogno di liquidità per investire) ha reso la lira turca meno competitiva a causa del basso rendimento dei depositi. Il Governo sarà dunque molto probabilmente costretto a fare affidamento anche in futuro sui mega progetti infrastrutturali garantiti dallo Stato per aumentare la domanda del settore privato e rilanciare la crescita e contrastare la perdita di produttività innescata dai sismi dello scorso febbraio.

Il secondo fattore cha aveva contribuito alla parziale stabilizzazione dell'economia, erano stati gli afflussi di cassa informali dall'estero, circa 24 miliardi di dollari a fronte di un deficit corrente di oltre 48 miliardi, operazioni considerata “estranee” ai tradizionali strumenti di politica monetaria. Il Governo di Ankara ha infatti ricevuto fondi dall'estero facendo leva sulle sue relazioni bilaterali, in particolare con la Federazione Russa e con Qatar e Arabia Saudita; operazioni che hanno consentito alla Turchia di compensare i disavanzi commerciali con un numero maggiore di partener commerciali.

Vi è anche un terzo fattore che ha influito nella stabilizzazione del quadro economico della Turchia: il clima più mite nel 2022 rispetto alle medie stagionali. Quest’ultimo ha giovato alle economie europee, principali partner commerciali della Turchia, che sono riuscite ad evitare una profonda recessione che era iniziata con il razionamento energetico. Il mite clima invernale, anche in Turchia, ha ridotto la domanda e fatto abbassare le bollette.

Al miglioramento del clima economico, prima dei due terribili sismi, avevano contribuito anche la politica di rafforzamento del potere d'acquisto delle famiglie e l’edilizia abitativa. La prima perseguita attraverso significativi aumenti del salario minimo, raddoppiato in un anno e triplicato in due (il salario minimo era infatti sceso a 150 dollari mensili durante il picco della crisi valutaria del dicembre 2021 e successivamente salito a quasi 450 dollari nel gennaio 2023) al di sopra dei livelli di città come Shanghai (380 dollari), San Paolo (250 dollari), Delhi (210 dollari), Teheran (180 dollari) o Il Cairo (90 dollari). A ciò si aggiunge la recente legge che ha eliminato il requisito dell'età per il pensionamento anticipato, rendendo immediatamente idonei 2 milioni di lavoratori in più (con un costo per le casse dello Stato che potrebbe superare i 10 miliardi di dollari), ed il lancio di un ambizioso progetto di edilizia popolare, che dovrà essere necessariamente ridisegnato alla luce dei due sismi.

È ancora troppo presto per dire in che modo i disastrosi terremoti influenzeranno l'attività economica e la stabilità dei mercati finanziari a lungo termine, al di là della prossima tornata elettorale, a causa delle aspettative di recessione. I costi complessivi causati dai due sismi non sono ancora chiari e la ripresa sarà certamente molto graduale. Inoltre, le 11 province colpite dai sismi sono altamente integrate, il che significa che anche l'attività economica (e l’export) a livello nazionale rallenterà. È possibile una perdita del PIL di “almeno” due punti percentuali che il che significa che il Paese crescerà nel 2023, secondo MEI, solo a un tasso dell’1%, al di sotto del tasso di crescita medio della popolazione che si attesta all'1,5%; inoltre, i due sismi porteranno ad un calo del reddito nazionale pro capite.

Fino ad oggi, non vi è stato alcun cambiamento nel “Türkiye Economy Model” varato dal Governo a metà 2021, ma senza un cambiamento di rotta la liquidità rimarrà un punto debole per la Turchia. Sebbene i prezzi dell'energia siano in diminuzione, il deficit commerciale rimarrà elevato a causa di probabili cali dell’export nazionale (già manifestatosi lo scorso mese di febbraio), della produzione e dell’occupazione. Non è infine previsto un nuovo prestito del FMI e restano incerti gli interventi delle banche estere mentre gli aiuti internazionali che continuano ad affluire, secondo alcune stime sono sufficienti a coprire solo i bisogni essenziali delle popolazioni colpite e non a finanziare anche la ricostruzione.

Le sfide macroeconomiche che la Turchia deve affrontare sono quindi molteplici e, indipendentemente dall'esito delle prossime elezioni, la strada da percorrere sembra essere in salita. Prima dei due sismi ci si aspettava che l'inflazione continuasse a scendere intorno al 35-40% entro giugno 2023, ma oggi potrebbe rimanere al di sopra del 40% per gran parte dell’anno. Il rapporto tra deficit di bilancio e PIL per il 2023, che era stimato al 3,5% prima dei terremoti, potrebbe salire, al 5% (4,5% per “JP Morgan” che la cui stima prima del sisma era ferma al 3,5%).

Infine, dal punto di vista del bilancio pubblico, un indebitamento netto fino a 661 miliardi di lire (pari a 35 miliardi di dollari) sarebbe possibile con le previsioni di bilancio 2023 ma purtroppo, secondo molti analisti, neanche un indebitamento così elevato sarebbe sufficiente a finanziare in toto la ricostruzione.

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